mercoledì 8 febbraio 2012

Un errore di valutazione.



 Un errore di valutazione.



Dal Libro: "Tra il silenzio delle pareti".

1978.
Giornate calde e afose, si susseguono a Venezia. Guarda, dalla finestra la terraferma; scorgo le Dolomiti che si annalzano nella loro maestosità e riflettendosi nello specchio d'acqua della laguna. compongono un bellissimo quadro. Ho voglia di andare in montagna a fare una bella ascensione.
Telefono a Luciano.
-"Andiamo domani a fare qualcosa di lungo"-
Mi risponde : -"Ok - Ma cosa?".
Ribatto: -"Potrebbe essere la via normale alla sud della Tofana di Rozes"-
-"Ok"-
Partiamo con la mia Prinz NSU 1100, detta anche:"vasca da bagno".
Lasciamo l'auto al rif. Dibona. Anche qui il tempo è bellissimo e fa caldo.
Decino, di arrampicare, con adosso calzoni corti e maglietta e, lo stretto necessario di materiale per affronatre la via. Sicuramente il tempo tiene e per il tardi pomeriggio riusciamo ad arrivare in cima. Siamo veloci e tranquillamente in 7 ore siamo in vetta, ma qui faccio un grosso errore di considerazione e valutazione.
Alle 10 siamo all'attacco.
Affrontiamo in velocità la rampa con difficoltà di terzo, quarto grado e passaggi di quarto superiore. Ora  saliamo obliquando a sinistra, poi su dritti fino ad arrivare alle ghiaie del grande anfiteatro.
Proseguiamo in conserva, rimontando e seguendo delle evidenti tracce su di una cengia, verso sinistra arriviamo ad uno scolo. Saliamo, rapidi a sinistra,  lungo una cengia con tracce ancora evidenti. Stiamo iniziando a ritornare ad arrampicare, per innalzarsi a raggiungere il diedrino giallo, quando sentiamo delle voci di aiuto.

Con gli occhi rivolte a quelle grida, notiamo una cordata a destra, su una parete repellente, gialla. Ci prestiamo a dare una mano a quei sprovveduti per discendere e assieme riprendere la via Dimai.
Fatichiamo molto, per prestare a loro soccorso e riportarli nella giusta via.
Abbiamo perso circa due ore e sono molto affaticato, in quanto, ho perso molte energie per recuperare la cordata dei tedeschi anche se Luciano mi ha dato un valido aiuto.
Giungiamo al sedicesimo tiro di corda. La cordata dei tedeschi che ci segue sempre da dietro, rallenta notevolmente la prosecuzione; dobbiamo continuamente attenderli. Salgo una paretina sopra la sosta, per poi salire  un breve camino fino alla cresta. Supero facilmente la cresta e uno spigoletto. Mi dirigo a delle fessure gialle fino ad arrivare all'ultimo punto di difficoltà e quindi alla fine della via.  Salgo la fessura più larga,  e superando un passaggio di quinto, esternamente, rientro nella fessura passando poi sotto un masso incastrato. Risalgo, in opposizione, un camino e finalmente giungo alla fine della via. 

Sono le otto della sera. Ho le gambe pesanti, inizio ad avere crampi alle mani.
Percorrriamo di conserva la lunga cresta di roccette seguendo tracce ed ometti. Ora passiamo a sinistra perchè questa diviene impercorribile e, sempre per ghiaie e roccie rotte, proseguiamo per raggiunge un ghiaione. Attraversiamo   verso sinistra e in breve raggiungiamo la vetta. Il freddo è pungente. Sono le nove di sera e mi vesto, solamente,  calzoni corti e magliettina a mezze maniche.
Improvvisamente, Sono raggiunto da forti tremori e crampi. Involontariamente mani e braccia di chiudono abbracciando il mio corpo, non riesco più a camminare. A tremiduecentoventicinque metri non si scherza. Ora, con la sera c'è lo sbalzo termico. La cordata tedesca mi porge un foglio di alluminio per proteggermi. Lo distendo, avvolgo il corpo e crollo a terra. Decido di passare la notte in cima; loro mi lasciano, solo.
Sono stravolto, la stanchezza prende il sopravvento e disteso fra le grosse ghiaie prendo il sonno.

Mi sveglio alle sette del mattino. Sono accarezzato, sul viso, da leggeri fiocchi di neve. Provo a muovermi ma faccio fatica. Ho,  in corso una leggera ipotermia su tutto il corpo, e dappertutto mi fa male. Devo rimanere  tranquillo; sono ancora vivo e questo mi rincuora, mi da fiducia e forza.

-"Bepi; Devi agire!".

Mi faccio coraggio e, con grande sforzo, prendo la via del ritorno. Sulle spalle, il telo in alluminio a mo tabarro alpino mi protegge dalla neve e dalle raffiche d'aria. Più volte, cado tra la neve e le ghiaie, sempre circondato forti folate di vento provieniente da tutte le direzioni. Durante la discesa, per le varie cadute, mi procuro sangunolente e vistose abrasioni. Dopo tre oredi questo inferno,  intravedo il rifugio Giussani.

Riesco a dinguere delle forme umane che stanno venedomi incontro, svengo fra le loro braccia.

Ho saputo poi, che il corpo nazionale del soccorso alpino, allertato dai tre che mi avevano lasciato da solo, in cima, avevano cercato di far intervenire l'elicottero. Per le forti raffiche di vento, la cieca visibilità e neve non potevano far muovere il mezzo rischiandone la loro vita. 
Essi, con gran cuore,  mi venivano incontro, in salita, per la via di discesa. Grazie!!!

Agosto 2000. Faccio parte del gruppo rocciatori "Gransi" CAI di Venezia.  Sono da solo, in  libera eseguo l'ascensione in tre ore e quarantacinque minuti.
Giugno del 2004, in libera rifaccio per la terza volta la via.
Nostalgia o riscatto?
Giuseppe Frison

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