mercoledì 8 febbraio 2012

Un errore di valutazione.



 Un errore di valutazione.



Dal Libro: "Tra il silenzio delle pareti".

1978.
Giornate calde e afose, si susseguono a Venezia. Guarda, dalla finestra la terraferma; scorgo le Dolomiti che si annalzano nella loro maestosità e riflettendosi nello specchio d'acqua della laguna. compongono un bellissimo quadro. Ho voglia di andare in montagna a fare una bella ascensione.
Telefono a Luciano.
-"Andiamo domani a fare qualcosa di lungo"-
Mi risponde : -"Ok - Ma cosa?".
Ribatto: -"Potrebbe essere la via normale alla sud della Tofana di Rozes"-
-"Ok"-
Partiamo con la mia Prinz NSU 1100, detta anche:"vasca da bagno".
Lasciamo l'auto al rif. Dibona. Anche qui il tempo è bellissimo e fa caldo.
Decino, di arrampicare, con adosso calzoni corti e maglietta e, lo stretto necessario di materiale per affronatre la via. Sicuramente il tempo tiene e per il tardi pomeriggio riusciamo ad arrivare in cima. Siamo veloci e tranquillamente in 7 ore siamo in vetta, ma qui faccio un grosso errore di considerazione e valutazione.
Alle 10 siamo all'attacco.
Affrontiamo in velocità la rampa con difficoltà di terzo, quarto grado e passaggi di quarto superiore. Ora  saliamo obliquando a sinistra, poi su dritti fino ad arrivare alle ghiaie del grande anfiteatro.
Proseguiamo in conserva, rimontando e seguendo delle evidenti tracce su di una cengia, verso sinistra arriviamo ad uno scolo. Saliamo, rapidi a sinistra,  lungo una cengia con tracce ancora evidenti. Stiamo iniziando a ritornare ad arrampicare, per innalzarsi a raggiungere il diedrino giallo, quando sentiamo delle voci di aiuto.

Con gli occhi rivolte a quelle grida, notiamo una cordata a destra, su una parete repellente, gialla. Ci prestiamo a dare una mano a quei sprovveduti per discendere e assieme riprendere la via Dimai.
Fatichiamo molto, per prestare a loro soccorso e riportarli nella giusta via.
Abbiamo perso circa due ore e sono molto affaticato, in quanto, ho perso molte energie per recuperare la cordata dei tedeschi anche se Luciano mi ha dato un valido aiuto.
Giungiamo al sedicesimo tiro di corda. La cordata dei tedeschi che ci segue sempre da dietro, rallenta notevolmente la prosecuzione; dobbiamo continuamente attenderli. Salgo una paretina sopra la sosta, per poi salire  un breve camino fino alla cresta. Supero facilmente la cresta e uno spigoletto. Mi dirigo a delle fessure gialle fino ad arrivare all'ultimo punto di difficoltà e quindi alla fine della via.  Salgo la fessura più larga,  e superando un passaggio di quinto, esternamente, rientro nella fessura passando poi sotto un masso incastrato. Risalgo, in opposizione, un camino e finalmente giungo alla fine della via. 

Sono le otto della sera. Ho le gambe pesanti, inizio ad avere crampi alle mani.
Percorrriamo di conserva la lunga cresta di roccette seguendo tracce ed ometti. Ora passiamo a sinistra perchè questa diviene impercorribile e, sempre per ghiaie e roccie rotte, proseguiamo per raggiunge un ghiaione. Attraversiamo   verso sinistra e in breve raggiungiamo la vetta. Il freddo è pungente. Sono le nove di sera e mi vesto, solamente,  calzoni corti e magliettina a mezze maniche.
Improvvisamente, Sono raggiunto da forti tremori e crampi. Involontariamente mani e braccia di chiudono abbracciando il mio corpo, non riesco più a camminare. A tremiduecentoventicinque metri non si scherza. Ora, con la sera c'è lo sbalzo termico. La cordata tedesca mi porge un foglio di alluminio per proteggermi. Lo distendo, avvolgo il corpo e crollo a terra. Decido di passare la notte in cima; loro mi lasciano, solo.
Sono stravolto, la stanchezza prende il sopravvento e disteso fra le grosse ghiaie prendo il sonno.

Mi sveglio alle sette del mattino. Sono accarezzato, sul viso, da leggeri fiocchi di neve. Provo a muovermi ma faccio fatica. Ho,  in corso una leggera ipotermia su tutto il corpo, e dappertutto mi fa male. Devo rimanere  tranquillo; sono ancora vivo e questo mi rincuora, mi da fiducia e forza.

-"Bepi; Devi agire!".

Mi faccio coraggio e, con grande sforzo, prendo la via del ritorno. Sulle spalle, il telo in alluminio a mo tabarro alpino mi protegge dalla neve e dalle raffiche d'aria. Più volte, cado tra la neve e le ghiaie, sempre circondato forti folate di vento provieniente da tutte le direzioni. Durante la discesa, per le varie cadute, mi procuro sangunolente e vistose abrasioni. Dopo tre oredi questo inferno,  intravedo il rifugio Giussani.

Riesco a dinguere delle forme umane che stanno venedomi incontro, svengo fra le loro braccia.

Ho saputo poi, che il corpo nazionale del soccorso alpino, allertato dai tre che mi avevano lasciato da solo, in cima, avevano cercato di far intervenire l'elicottero. Per le forti raffiche di vento, la cieca visibilità e neve non potevano far muovere il mezzo rischiandone la loro vita. 
Essi, con gran cuore,  mi venivano incontro, in salita, per la via di discesa. Grazie!!!

Agosto 2000. Faccio parte del gruppo rocciatori "Gransi" CAI di Venezia.  Sono da solo, in  libera eseguo l'ascensione in tre ore e quarantacinque minuti.
Giugno del 2004, in libera rifaccio per la terza volta la via.
Nostalgia o riscatto?
Giuseppe Frison

ERTO


Erto
marzo 5, 2011
Il silenzio per le vie del borgo di Erto è travolgente. E’ un paese senza anima ma colmo di anime d’una volta.

I vicoli acciottolati, le gradinate sconnesse, i muri sospesi delle case, il poco fumo dai camini, la triste pace avverte il visitatore di quanto questo ridente paese è e sia stato dimenticato.

Sembra impossibile che da quell’evento, del bellissimo Erto, nulla sia stato fatto per ridargli la vita. La fierezza degli abitanti è mancata.

Poco a poco tutto è crollato: le case e la dignità di essere veri ertani.

Solo la dignità mai svanita di uno sparuto pugno di persone  non fa dimenticare quello che Erto era.








martedì 7 febbraio 2012

Con due guide al "Salame di Comici" o Campanile di Emilio Comici.

Con due guide al "Salame di Comici" o Campanile di Emilio Comici.


26 Agosto 1993. Ci svegliamo alle quattro del mattino, dopo aver fatto colazione, nel silenzio della Casa alpina di Canazei dove siamo stati ospiti grazie a Stefano Malgarotto.  Appena usciti dalla porta, la temperatura, ci sveglia di soprassalto + 8 gradi, non male per essere in agosto.  Dopo mezz’ora, con l’auto, giungiamo al Passo Sella. E’ ancora molto buio e non si riesce a visualizzare il sentiero che porta all’attacco del “Salame” o Campanile di Comici. Come possiamo, distendiamo le nostre membra all’interno dell’auto, attendendo le prime luci dell’alba.  ”Porco cane” Nane e Monica, riprendono immediatamente il sonno lasciato tra le coltri di Canazei. Io sono sveglio come un grillo e agitato. Penso a tutto l’allenamento, alle rinunce di succulenti cibi per portare il mio fisico in forma,  pronto, ad affrontare tranquillamente la via del Grande Maestro, Emilio Comici. L’acrobata triestino, il signore del 6° grado l’ ha tracciata,   facendone divenire una classica. Una delle più belle imprese alpinistiche eseguite da questo formidabile alpinista, nelle nostre Dolomiti.

Finalmente giungono la prima luce dell’ aurora e poi quella del mattino. 
 “Ragazzi, dai forza!” urlo “Svegliatevi”. Non ci sto nella pelle. Da circa un’ora saliamo il sentiero che conduce all’attacco della via. Saliamo e superiamo, velocemente in libera, lo zoccolo del campanile, contenti.


Non abbiamo trovato nessuna cordata, la giornata si annuncia stupenda. Giungiamo all’ attacco, alla base della via.

Rimaniamo a bocca aperta. La verticalità della parete è impressionante e sembra impossibile che ci possa essere un tracciato che possa superare questo muro. Nane, guida alpina, Monica, anch’essa guida, e il sottoscritto ci vestiamo e ci abbardiamo di tutto il materiale necessario per la scalata.  Il primo tiro di corda, inizia subito, con una attraversata verso destra e le difficoltà sono sostenute, un bel 5° grado che diviene 5°+ . La roccia è fredda, si presenta molto compatta. E’ impossibile mettere un chiodo. I giorni precedenti,  avevi letto il libro di Severino Casara “Il vero arrampicatore”.  Egli scrisse in relazione a questo passaggio: “Lo vidi superare per pressione una fessura verticale, e poi traversare orizzontalmente a destra in pieno vuoto e su parete strapiombante.  
A metà traversata gli gridai di piantare un chiodo di sicurezza, ed egli, per accontentarmi, ne estrasse uno piccolissimo dal taschino riuscendo a fissarlo  con molta fatica. Vi innestò il moschettone passandovi la corda, mentre io tiravo un sospiro di sollievo. Compiuta la traversata si fermò su un buon posto, ma quando mi mossi per raggiungerlo, il chiodo uscì fuori dalla roccia e col moschettone scese cantando lungo la corda e fermandosi alla mia cintola. “Ma che razza di chiodo hai piantati” gli gridai furente. “L’hai voluto tu” Candidamente mi rispose: “Era un chiodo morale!”.
Nane sta affrontando la stessa fessurina di 5° e la traversata molto delicata di 6°. Procede molto cautamente ma con tranquillità e sicurezza di guida, che sa esattamente come procedere. Sotto si se, l’esposizione è impressionante. Arriva alla sosta dove trova due chiodi malsicuri. Non abbiamo tanta voglia di scambiare le nostre impressioni. Siamo consapevoli, ora, delle difficoltà oggettive della parete. Si continua salire per una fessura diedro. Si incontrano più chiodi e questo ci segnala 
che l’ascensione sarà sempre più diffide, esposta. La verticalità della roccia  leggermente strapiombante porta, le corde, a non toccare la parete.  Ora si prosegue lungo una fessura strapiombante. Nane la studia minutamente, calcola la distanza degli appigli e degli appoggi e sopratutto valuta il possesso  delle sue forze per superare quel tratto estremamente difficile. forze. Tocca a me salire. Chiedo di avere la corda più tesa. Il tiro è di 6°+
.  Psicologicamente mi sento sicuro e certo di superare il tratto strapiombante. Stupidamente mi attacco ad un cordino.
 “Stupido che sei” mi dico. Nel farlo mi stacco ancor di più dalla parete e mi sento proiettato nel vuoto. Afferro al volo un micro appiglio all’interno della fessura. Le corde di recupero sono distanti di un metro e mezzo dalla parete. Con larga spaccata, in opposizione riesco imprimere e contrarre il muscolo della gamba sinistra. mi innalzo con la destra e con due movimenti atletici  riesco a superare lo strapiombo che intravvedo in mezzo alle gambe: Mi esalto e urlo di soddisfazione. Per una cavolaia compromettevo l’ascensione.  La via è un vero capolavoro di Emilio Comici.




Scorgo l’imbocco dell’inizio della Vallunga.   Da anni, ai piedi della parete di roccia “Parëi de Ciampac” (Vallunga), un po’ nascosto, si trova un monumento scolpito nel legno in memoria del grande alpinista Emilio Comici, caduto proprio da quella parete nel 1940.  Il 10 ottobre 2010, a Selva Val Gardena, presso la “Baita Ciampac” ai piedi dell’omonima parete rocciosa, a ricordo dei settant’anni dalla morte “dell’angelo delle Dolomiti”, è stato fatto inaugurato un altro monumento bronzeo, modellato sulla prima statua lignea, dal gardenese Tita Demetz negli anni ‘90. Non senza polemiche, alla cerimonia erano presenti: i vertici nazionali del CAI e delegazioni di più parti d’Italia, Accademici CAI, Guide Alpine, le Scuole di Alpinismo, alpinisti di fama  e autorità.










scultura bronzea, dedicata al grande alpinista Emilio Comici.                           Emilio Comici, fu podestà del Comune di Selva Gardena fra il 1938 ed il 1940, dove aveva trovato lavoro come direttore della scuola di sci. Egli. ha traccaito oltre 200 prime ascensioni tra le più ardue e belle pareti delle Dolomiti. Proprio su un guglia del Sassolungo, Emilio Comici, ha aperto una via logica, dritta come una caduta di una goccia d’acqua. Oggi essa  viene chiamata, Campanile Comici o “Salame di Comici”. L’acrobata, ha aperto una stupenda via, e tuttora è una salita classica; tra le più apprezzate e salite nelle Dolomiti. Il percorso è dritto come una goccia d’acqua che cade dall’alto. Al sesto tiro di corda eseguiamo una traversata a sinistra, raggiungendo la nicchia di bivacco dei primi salitori. Troviamo il libro di via. 
Firmo per tutti e tre. Un’altra attraversata, verso destra, ci fa capire che le difficoltà non si sono esaurite. Incontriamo all’ottavo  tiro di corda una placca liscia. La sua sua salita è molto delicata. Nane sale come un gatto, rapinato come una lucertola a causa che appigli e appoggi suonano con tono non poco rassicurante rimanendo con difficoltà sempre di 5° +. Il Nanne in battuta verso di me: “Sai sempre scegliere bene le vie da salire”. La Monica in silenzio segue il marito e controlla che metta sempre un rinvio sicuro. Non deve accennare di mettere rinvii psicologici. Finalmente troviamo nuovamente la roccia più compatta e solida. Ci troviamo ad affrontare un camino diedro che sembra essere meno difficile, così dice anche la descrizione della guida Dinoia. E’ solamente nostra interpretazione; ci attendono altri sette metri di 6° grado. Finalmente quando arriviamo all’ undicesimo tiro di corda il terreno diventa più facile.
 Giungiamo rapidamente alle rocce terminali che ci portano in cima  nane, mi da l’onore di fare l’ ultimo tiro di corda. 

In cima, ci abbracciamo per la gioia, la vittoria, la bellissima giornata trascorsa a superare questa stupenda parete del “Salame ” di Comici. Oggi ho affrontato, nel silenzio dei monti, una parete che da anni volevo salire. Penso che sia, una delle più belle ascensioni fatte nelle Dolomiti. L’ascensione, è stata gratificante, anche per aver avuto due guide amiche come il Nane e la Monica.  Due guide che ti fanno riscoprire l’amicizia e l’amore per la montagna.





 

lunedì 6 febbraio 2012

Con l'amico Nane al Piz Ciavazes



Con l'amico Nane al Piz Ciavazes

„ VIA ROBERTA E DIEDRO BUHL

PREFAZIONE:
Prefazione:
Hermann Buhl e Walter Streng aprirono nel 1949, una via diretta , della via Micheluzzi, tracciando una importante scalata, con un' arrampicata impegnative e sostenuta, che supera l'evidente diedro giallo sottostante la "cengia dei camosci" Dislivello 170 mt. Ddifficoltà: VI°.
La via Buhl, coniugata con la prima parte con la via "Roberta '83", aperta da: Luigi Felicetti e Roberto Platter nell'estate del 1983, 90 mt. di VI° e VI°+, compongono un'ascensione molto bella, varia, con roccia ottima.

DESCRIZIONE:
DAL LIBRO: “TRA IL SILENZIO DELLE PARETI”.
Con l'amico Nane al Piz Ciavazes: "Via Roberta e diedro Buhl".
Luglio 2001
Nella mia mente, ci sono molte ascensioni che desidero fare.
L'amico e compagno di cordata, Maurizio Venzo, chiamato dagli amici "Nane", da molti anni, ha conseguito il patentino di guida alpina e ora, con i clienti da portare in escursioni o arrampicate, non ha più tempo di arrampicare con me; appena si presenta l'occasione di una sua disponibilità, ne approfitto immediatamente.
Più volte, il Piz Ciavazes, mi ha visto affrontare la parete sud lungo i tracciati classici come: lo spigolo Italia 61, La via Rossi, la via Micheluzzi, la via Schubert, la piccola Micheluzzi, la via Irma, la via della Rampa, lo spigolo Abram, con compagni di cordata o in libera e, nel farlo o nell'avvicinamento, mi ha sempre colpito e impressionato il diedro che taglia verticalmente la parete centrale.
Il tracciato aperto da Buhl mi ha sempre intimorito e nello stesso tempo mi esaltava nel volerlo fare, tanto da rimandare anno dopo anno la sua scalata.
Come sempre, queste impegnative ascensioni, le eseguo, partendo al mattino presto, prendendo il ferry-boat dall' isola del Lido di Venezia, per terminarle nella serata stessa con il mio ritorno al ferry-boat e quindi a casa.
Da anni, con l'amico "Nane", ci conosciamo; abbiamo trovato quell' amicizia e sicronia che ci accumuna nell'affrontare la montagna con sicurezza, divertendoci, e canticchiando canti di montagna lungo la salita, anche se lui, è notevolmente stonato e, come sempre, decidiamo all'ultimo momento l'itinerario; certe volte solamente alla base della parete.
"Ohhi!!! Bepi hai finito di sognare!" La voce dell'amico Nane, mi sveglia dal torpore del viaggio e del sonno. Siamo giunti alla piazzola di sosta per l'auto, sopra di noi incombe l'alta parete sud del Piz Ciavazes.
La parete Sud, si presenta imponente, slanciata, poderosa, movimentata: sempre battuta dal sole, e per il motivo del breve avvicinameto alle varie vie, è meta preferita, da numerosi gli alpinisti in tutte le stagioni.
Finalmente parliamo dell'ascensione da effettuare: "Bepi, ti vedo in forma e allora facciamo una bella diretta!".
Lo guardo con occhi interrogativi, ancora imbambolato all'interno dell'auto, ma ancor prima di ricevere la risposta, Nane, ha già iniziato a salire il sentiero.
Con imbrago sulla mano dx, corda sulla mano sinistra, zaino in spalla, lo raggiungo farfugliando di aspettarmi. Raggiungo l'amico, che mi chiarisce quello che intede fare: "Sai! per arrivare al diedro Buhl, facciamo una bella variante. E' più tecnica, ma ci divertiremo molto, perchè è aerea e leggermente difficilina".
"Tutto qui" rispondo, ma in me la curiosità della salita ha preso il sopravvento e la proposta del Nane mi affascina.
La traccia di sentiero ci porta all'attaco della via Micheluzzi. Ci sono due cordate, impegnate ad affrontare i primi tiri della via, sopra di noi e immediatamente ci mettiamo il casco in testa, in previsione di eventuali cadute di sassi. Seguiamo delle tracce di sentiero, leggermente a sinistra, fino ad arrivare all'attacco della via Roberta che inizia su una parete grigia nerastra.
Oggi non dobbiamo conquistare la montagna ma salirla con profonda umiltà; è la montagna che deve conquistare noi.
Guardo esterefatto il Nane; davanti abbiamo una placca levigata di circa 90 mt. che termina un po sotto ad un tetto giallo.
"Vogliamo scaldarci!", esclama.
Inizia a salire: diviene come una lucertola. Le sue mani, sono diventate due ventose, e i suoi piedi riescono ad aderire alle più piccole asperità della roccia: si muove elegantemente come un ballerino. Senza esitazione, s' innalza con calma e sicurezza, canticchiando stonatamente. Il vedere la sua progressione, mi infonde sicurezza necessaria perchè anch'io possa affrontare con disinvoltura l'impressionante parete.
Nane è un grade alpinista della montagna, un'acrobata della roccia e nella sua naturale semplicità, il vederlo progredire tranquillamente, sospeso nel vuoto, scioglie i più ardui problemi alpini con la serenità di un fanciullo.
"Quali difficoltà porta la via?" , chiedo timorosamente.
"Ma…mi sembra di ricordare da V°+ VI°, VI°a +; non ti preoccupare, se guardi bene c'è tutto da poter salire tranquillamente!".
Ho cambiato gli occhiali da poco, ma vedo davanti a me tutto liscio; mi affido solo all'incitazione rassicurante dell'amico. Finalmente, raggiunge il posto di sosta; noto che la corda fa difficoltà a toccare la roccia; essa le è vicina, solo, grazie ai rinvii che la trattengono.
-"Partiiii!"-
La linea verticale tra me e il Nane è impressionante. Alzo lo sguardo verso il compagmo, e guardingo inizio a salire.
Provo dentro, un'emozione forte che da tempo non coglievo; sto salendo con assulutà tranquillità e sicurezza.
Nel salire, divengo parte della roccia, della parete che mi avvolge. Ogni passaggio, lo supero con disinvoltura, facendomi gioire per la bella via, proposta e scelta dall'amico.
- "Alè Bepi!!! Non ti credevo a questi livelli. Ci faremo una meravigliosa ascensione!!!".
Ecco, il motivo, che voglio arrampicare sempre con lui; ogni suo commento è sicurezza e profonda amicizia.
Da due anni, arrampico in libera, anche se molti, a questa decisioni, hanno storto il naso. L' alpinismo solitario, pochi lo possono comprendere.
Quando arrampico da solo, spesse volte guardo giù nel vuoto, e canto per la gioia interna che mi pervade. Sono a tu per tu con la montagna e il suo fascino mi prente più acutamente nel mio animo facendomi provare senzazioni profonde.
L'isolamento, risveglia in me, emotività fino a quel momento assopite, e metto a nudo la mia efficienza fisica e psichica.
Debbo dire, che la padronanza acquisita con le vie fatte in libera, oggi, mi sta aiutando a dominare tranquillamente l'ascensione che sto facendo.
Tuttavia, sconsiglio a tutti, di intraprendere tale strada, perchè la vita è una cosa meravigliosa e vale la pena di viverla fino in fondo.

Raggiungo, raggiante, Nane al posto di sosta.
-"Ora i passaggi sono più delicati, ma se fruisci di tutti i piccoli buchi che incontri e fai aderire bene le scarpette, riesci con tranquillità a passare", mi suggerisce con disinvoltura il Nane.
Egli riparte; sale una placca nera, si innarca aderendo ancor di più con le scapette per dare maggior rendimento alla progressione, senza sprecare energie.
La variante per la via Roberta '83, è una scelta giusta; anzi per me, che prediligo la parete aperta è un terreno amico.
Giungiamo, qualche metro sotto al tetto ben visibile dall'attacco. La via, prosegue su dritta, affrontando direttamente lo strapiombo con difficolta di 7a+; noi con un traverso a destra di circa 40 metri che ci portiamo all'attacco della via Buhl.
Giungiamo ad una protuberanza rotonda gialla. il Nane, senza problemi la supera ed ora è il mio turno.

"Mamma mia, sono passati con la cera!", grido all'amico.
Incredibile!. Il traverso è talmente lucido, liscio e scivoloso che, se il libro guida di questo passaggio, descrive la difficoltà di IV°+, per me lo considero di V°+.
Le scarpette che non aderiscono come voglio io, e per procedre carico le braccia a sopportare completamente, il peso del mio corpo, tenendomi su appigli lucidi, e proseguendo, pronunciando epitteti scurili e pesanti.
Finalmente raggiungo il Nane alla base del diedro Buhl.
Il diedro, si staglia verso il cielo con tutta la sua importanza e bellezza; rimango senza parole, è impressionante.
Dobbiamo affrontare una scalata impegnativa e sostenuta, su roccia molto buona con difficoltà di V°+, e passaggi di VI° per centosessanta metri.
-"Bepi, all'acchio!"-
-"Vai tranquillo , non ti perdo un secondo dalla mia vista"-.
-"Vado"-
Gli rispondo con un accenno d'assenso.
Siamo riusciti, velocemente, a superare due cordate, sulla placca lucida e liscia.
Ora siamo soli e tranquilli. La costola sinistra del diedro ci nasconde dalle cordate che stanno salendo sotto di noi.
Tutto questo ci rende più uniti; arrampichiamo con la passione per la montagna.
I primi 40 metri li superiamo velocemente.
Ora Nane è impegnato a passare una strozzatura strapiombante del diedro. Riesco a percepire il suo impegno nel superare la difficoltà, nel sentire il suo iperventilare e sopratutto perchè ha cessato di cantare.
-"Ci siamo"- Penso.
Con attenzione seguo ogni suo movimento.
Sale come un serpente lungo la fessura diedro, poi con le mani incastrate al suo interno mette i piedi in spaccata, uno a destra e l'altro a sinistra sulle pareti opposte. Ora, inserisce il piede dx dentro la fessura e l'altro lo innalza fino al bacino. Con uno scatto felino, riesce ad agguantare un bell'appiglio. Tende l'avambraccio destro e con un urlo selvaggio di vittoria supera uno strapiombo del diedro, raggiungendo la sosta.
Ora è il mio turno.
Sono 40 metri di V°+ con un passaggio strapiombante di VI°; è il passaggio chiave della via.
Con calma, salgo in spaccata il diedro; mi accorgo, che riesco con scioltezza a innalzarmi.
Affronto il primo passaggio strapiombante, con estrema naturalezza; il Nane mette in tensione le corde.
Gli suggerisco di non farlo.
"Sono in perfetto equilibrio. Se tendi le corde, mi portano all'interno del diedro!".
Raggiungo il passaggio chiave.
Il Nane, ridendo, mi dice -"Buon divertimento".
Non gli do retta.
Con un'apertura spaventosa delle gambe, riesco ad eseguire una spaccata di circa un metro e trenta centimetri; le mani in opposizione su entrambi le pareti e, spudoratamente, raggiungo il Nane, con un largo sorriso.
-"Mi fai schifo"
Replica il nanerottolo.
Lui è alto un metro e cinquantotto centimetri, io un metro e ottantacinque. Gli rispondo che volevo vedere bene, cosa c'era tra le mie gambe e il vuoto.
Una parolaccia, una pacca sopra il casco mi fa capire, che non ha digerito la mia grazia nel superare il passagio.
-"Almeno una volta tanto, l'altezza, che serva a qualcosa!"- Gli dico ridendo.
Ora , il diedro, presenta un tiro di cinquanta metri con difficoltà continue di V°+ e un passaggio di VI°-.
Incredibilmente, lo affrontiamo di corsa.
Superiamo altri trenta metri, sempre di diedro e, raggiungiamo salendo per facili rocce la "Cengia dei Camosci".
Nel salire gli ultimi metri, ho un pensiero alla nostra amicizia insolubile.
Pochi sono alpinisti, migliaia posso esssere gli arrampicatori.
Quest'ultimi, praticano questo sport più con i muscoli che con intelletto.
Ci sono gare, rivalità, sponsor, clamore della stampa, primati e folla ma poi tutto passa; ci saranno altri primati, altre gare, rivalità. Il salire la montagna, arrampicare con l'alpinismo nel cuore non passerà mai; rimarrà sempre per semplicemente e unicamente per chi ama la montagna con umiltà.
Giuseppe Frison.

Gruppo Sassolungo e Piz Ciavazes-olio-'04 di giuseppe frison.www.arstvenice.com

domenica 5 febbraio 2012

3 grandi dell'alpinismo: Cesare Maestri, Bruno Detassis, Catullo Detassis




Il 26 luglio 1997 ho avuto l'occasione di intervistare Bruno Detassis nella sua casa di Campiglio. Bruno vedendomi ha abbandonato il libro che stava leggendo e mi ha abbracciato.
Nello stringere la sua mano la mia mente ritornò indietro negli anni.
Ogni anno, dal '70 al '77, nel mese di settembre trascorrevo le ferie al suo rifugio situato nel cuore del Gruppo di Brenta. Era la base per le mie ascensioni. Con Bruno e Catullo Detassis, i gestori, si era creata simpatia e amicizia reciproca. Sorridemmo al ricordo della possibilità che mi avevano concesso di salire al loro rifugio con la teleferica. Oggi, solo al ripensarlo, non so come ho potuto salire nel cassone e risalire guardando l'esile cavo e il vuoto sotto di me.

Ma erano altri tempi ed ero sempre entusiasta di tutto quello che mi circondava.
Due giorni prima avevo portato al rifugio un mio quadro che raffigurava il Campanile Basso e Claudio Detassis, solerte, lo aveva subito fatto recapitare al padre Bruno. Abbiamo parlato per venti minuti di montagna. Ha voluto sapere in che modo arrampicavo e se la tecnica era prettamente alpinistica o d'arrampicata libera (free climbing). Continuò dicendomi:
"Non ho nulla contro l'arrampicare alla moda - citando nomi famosi - le loro vie tracciate, con il tempo, non avranno ripetitori mentre le nostre non verranno mai scordate". Senza lasciarmi aggiungere qualcosa continua lisciandosi la barba:
"Anche se non arrampico più il mio cuore è sulle pareti, sulle mie montagne. Conosco molti giovani come te (ndr. 45 anni) che a causa del lavoro, della famiglia non possono allenarsi per stare al passo con la moda ma, quando li vedi muoversi, esprimono tutta la loro energia e naturalezza sulla parete tracciando itinerari più che interessanti".
Sono perplesso nell'ascoltare con che lucidità e serietà mi sta parlando. Nel 1988 ha compiuto la sua ultima arrampicata scalando il Basso, decidendo, dopo quell'ascensione, di ritirarsi dall'attività alpinistica e da quella di gestore, decidendo di passare l'eredità al figlio.
Mentre parla noto ancora la grinta e la sicurezza che lo caratterizzava tanti anni fa.
Egli è rimasto volutamente lontano dal concetto moderno di affrontare la montagna e mi suggerisce, con un largo sorriso, di continuare a scalare le pareti e aprire vie come sto facendo ora e come lui ha sempre fatto. La logicità della via è dettata dalla natura che offre all'alpinista la possibilità, anche lottando duramente, di vincerla senza tanti artifizi o senza lasciare tanti ricordi del tuo passaggio.
Quando gli racconto che due giorni prima avevo lasciato al negozio di Cesare Maestri alcuni articoli, mi interrompe con la mano e dice:

"Vedi, Cesare è un amico, gli sono molto attaccato, ma ha un unico difetto, non vuole convincersi che il tempo passa anche per lui. Non aspettare che ti dica che è una caratteristica del suo carattere. E' talmente vivo che non sente la necessità di ringraziare e incoraggiare i giovani come te".
Ho la maglietta dei " Gransi ", scruta lo stemma e mi chiede se fa parte del gruppo una donna che arrampicava forte ed era insegnante di ginnastica. Mi viene subito da dire il nome di Ada e simultaneamente lui lo ripete confermandomi che era lei. Continua a guardare lo stemma dei Gransi e gli tornano alla mente anche i nomi di alcuni alpinisti di Murano. Si ricorda di uno in particolare la cui ascensione fece molto scalpore. Gli suggerisco il nome di Plinio Toso, ma non gli dice nulla. Provo con il soprannome "Orso", ed è proprio lui. Ecco affiorare il ricordo della sua memorabile salita nel 1959 alla parete Nord del Campanile di Val Montanaia.
Mi sento orgoglioso di fa parte del gruppo dei Gransi. La grande guida, padre di tutte le guide, aveva ricordato due miei amici. 


Bruno guarda la fotocopia della rivista Alpi Venete sulla quale sono presentate due vie aperte da me. Mi conferma che sono belle per la loro logicità. Rievoco con lui le mie imprese. Nell'aprire una via instauri con la stessa un rapporto che va aldilà della difficoltà. Le ore dedicate alla riuscita dell'impresa e le sensazioni provate , saranno molto differenti per un ripetitore. Ci sono momenti talmente intensi che difficilmente si riescono a raccontare. Se poi eri solo e in libera, tentare di farli capire anche a chi arrampica è quasi impossibile. Quando poi si compie l'ultimo atto e cioè dare il nome alla via, il momento è magico. Si scarica la tensione che si tramuta in gioia per quello che hai fatto.
Bruno mi guarda e sorride. Mi porta nella stanza dove ha già appeso il quadro da me dipinto.
Guardandolo mi dice:
"Non saprei dirti quale delle vie aperte da me sia la più logica o la più bella sia per il tipo di roccia che per la linea, ma ogni volta che guardo il Basso invidio Preuss, Fox, Ampferer che hanno saputo tracciare un percorso su quel bel Campanile".
Con queste parole usciamo sulla terrazza e gli amici ci scattano alcune foto.
L'uomo Detassis ha sempre amato la libertà. Non si è mai smarrito nella fretta di un nuovo, forse impossibile traguardo. Oggi, come ieri, con somma delicatezza sa ascoltare un giovane e, anche se ha lasciato alle sue spalle la montagna, le crode sa ancora dare un significato alla sua presenza in questa terra.
Il "Re del Brenta" Bruno Detassis, ha scalato il Campanil Basso oltre 180 volte: la prima volta a 15 anni, l'ultima a 79, per festeggiare il 90° anniversario della prima salita.

"..... Nei riguardi di ciascuno, la natura opera una sua selezione: chi arriva ai rifugi, chi sale per i sentieri più impervi, chi raggiunge le cime lungo le difficili vie d'arrampicata. Esiste però una cosa che ci accomuna tutti e che ci spinge in questo ambiente unico: la passione per la montagna" (Bruno Detassis)








DAL LIBRO: “TRA IL SILENZIO DELLE PARETI” L'incontro con Cesare Maestri



... Rifugio Brentei. La giornata è bella, mi sento in forma. Decido di fare una arrampicata tranquilla, dove conosco bene la salita e discesa. L'idea è di salire il Basso per la normale. Bellissima ascensione, con difficoltà al massimo di IV°+, di soddisfazione. Arrivo all'attacco; metto l'imbrago, allaccio bene gli scarponi, a mo di zaino metto la corda sulle spalle e parto. Superata la stupenda e aerea parete Pooli, mi porto in breve sul terrazzo "Re Sole", per salire il tratto finale. Purtropppo, dopo circa 15 m', sono ancora sul terrazzo, fermo. In attesa con me, ci sono 3 cordate che stanno aspettando via libera, in quanto altre due cordate, stanno occupando e superando la famosa parete "Ampferer". Alle mie spalle, sento una voce che mi dice. " Ti ho visto arrampicare, lasciamo questa bolgia e tiriamo diritti!". Sono ammutolito, l'uomo che si rivolge a me e Cesare Maestri. Perplesso e con l'incertezza stupita di un bambino gli rispondo. "Maaaa.... heeeeee un tiro di V°". Non finisco la frase che Cesare ha già salito di un metro la variante. Non penso, lo seguo, mi diverto e incredulo ancora per chi, ora ho davanti, arriviamo in breve , in cima al Campanile. Un sorriso, una stretta di mano e quattro parole: "Sei forte, Bepi, torniamo".
Rientriamo, velocemente al rif. Brentei. Bruno e Catullo Detassis si siedono al nostro tavolo.
Con un bicchiere di birra iniziamo a parlare, ma ben presto me ne sto zitto e ascolto i loro discorsi, le loro montagne, le vie salite. Sono affascinato da questi tre grandi maestri della montagna. Qui, nel gruppo di Brenta sono tracciato molti itinerari alpinistici che poratno il loro nome e ora sono divenute delle superbe vie classiche. Cesare, da una tasca della giacca a vento, estrae una cartolina, la firma con una dedica e me la consegna. Porta la sua ascensione alla parete Nord della Cima Grande di lavaredo per la via Comici. Sul retro scritto:"A Giuseppe con i più cari auguri, Cesare Maestri"...

Giuseppe Frison.