domenica 5 febbraio 2012

3 grandi dell'alpinismo: Cesare Maestri, Bruno Detassis, Catullo Detassis




Il 26 luglio 1997 ho avuto l'occasione di intervistare Bruno Detassis nella sua casa di Campiglio. Bruno vedendomi ha abbandonato il libro che stava leggendo e mi ha abbracciato.
Nello stringere la sua mano la mia mente ritornò indietro negli anni.
Ogni anno, dal '70 al '77, nel mese di settembre trascorrevo le ferie al suo rifugio situato nel cuore del Gruppo di Brenta. Era la base per le mie ascensioni. Con Bruno e Catullo Detassis, i gestori, si era creata simpatia e amicizia reciproca. Sorridemmo al ricordo della possibilità che mi avevano concesso di salire al loro rifugio con la teleferica. Oggi, solo al ripensarlo, non so come ho potuto salire nel cassone e risalire guardando l'esile cavo e il vuoto sotto di me.

Ma erano altri tempi ed ero sempre entusiasta di tutto quello che mi circondava.
Due giorni prima avevo portato al rifugio un mio quadro che raffigurava il Campanile Basso e Claudio Detassis, solerte, lo aveva subito fatto recapitare al padre Bruno. Abbiamo parlato per venti minuti di montagna. Ha voluto sapere in che modo arrampicavo e se la tecnica era prettamente alpinistica o d'arrampicata libera (free climbing). Continuò dicendomi:
"Non ho nulla contro l'arrampicare alla moda - citando nomi famosi - le loro vie tracciate, con il tempo, non avranno ripetitori mentre le nostre non verranno mai scordate". Senza lasciarmi aggiungere qualcosa continua lisciandosi la barba:
"Anche se non arrampico più il mio cuore è sulle pareti, sulle mie montagne. Conosco molti giovani come te (ndr. 45 anni) che a causa del lavoro, della famiglia non possono allenarsi per stare al passo con la moda ma, quando li vedi muoversi, esprimono tutta la loro energia e naturalezza sulla parete tracciando itinerari più che interessanti".
Sono perplesso nell'ascoltare con che lucidità e serietà mi sta parlando. Nel 1988 ha compiuto la sua ultima arrampicata scalando il Basso, decidendo, dopo quell'ascensione, di ritirarsi dall'attività alpinistica e da quella di gestore, decidendo di passare l'eredità al figlio.
Mentre parla noto ancora la grinta e la sicurezza che lo caratterizzava tanti anni fa.
Egli è rimasto volutamente lontano dal concetto moderno di affrontare la montagna e mi suggerisce, con un largo sorriso, di continuare a scalare le pareti e aprire vie come sto facendo ora e come lui ha sempre fatto. La logicità della via è dettata dalla natura che offre all'alpinista la possibilità, anche lottando duramente, di vincerla senza tanti artifizi o senza lasciare tanti ricordi del tuo passaggio.
Quando gli racconto che due giorni prima avevo lasciato al negozio di Cesare Maestri alcuni articoli, mi interrompe con la mano e dice:

"Vedi, Cesare è un amico, gli sono molto attaccato, ma ha un unico difetto, non vuole convincersi che il tempo passa anche per lui. Non aspettare che ti dica che è una caratteristica del suo carattere. E' talmente vivo che non sente la necessità di ringraziare e incoraggiare i giovani come te".
Ho la maglietta dei " Gransi ", scruta lo stemma e mi chiede se fa parte del gruppo una donna che arrampicava forte ed era insegnante di ginnastica. Mi viene subito da dire il nome di Ada e simultaneamente lui lo ripete confermandomi che era lei. Continua a guardare lo stemma dei Gransi e gli tornano alla mente anche i nomi di alcuni alpinisti di Murano. Si ricorda di uno in particolare la cui ascensione fece molto scalpore. Gli suggerisco il nome di Plinio Toso, ma non gli dice nulla. Provo con il soprannome "Orso", ed è proprio lui. Ecco affiorare il ricordo della sua memorabile salita nel 1959 alla parete Nord del Campanile di Val Montanaia.
Mi sento orgoglioso di fa parte del gruppo dei Gransi. La grande guida, padre di tutte le guide, aveva ricordato due miei amici. 


Bruno guarda la fotocopia della rivista Alpi Venete sulla quale sono presentate due vie aperte da me. Mi conferma che sono belle per la loro logicità. Rievoco con lui le mie imprese. Nell'aprire una via instauri con la stessa un rapporto che va aldilà della difficoltà. Le ore dedicate alla riuscita dell'impresa e le sensazioni provate , saranno molto differenti per un ripetitore. Ci sono momenti talmente intensi che difficilmente si riescono a raccontare. Se poi eri solo e in libera, tentare di farli capire anche a chi arrampica è quasi impossibile. Quando poi si compie l'ultimo atto e cioè dare il nome alla via, il momento è magico. Si scarica la tensione che si tramuta in gioia per quello che hai fatto.
Bruno mi guarda e sorride. Mi porta nella stanza dove ha già appeso il quadro da me dipinto.
Guardandolo mi dice:
"Non saprei dirti quale delle vie aperte da me sia la più logica o la più bella sia per il tipo di roccia che per la linea, ma ogni volta che guardo il Basso invidio Preuss, Fox, Ampferer che hanno saputo tracciare un percorso su quel bel Campanile".
Con queste parole usciamo sulla terrazza e gli amici ci scattano alcune foto.
L'uomo Detassis ha sempre amato la libertà. Non si è mai smarrito nella fretta di un nuovo, forse impossibile traguardo. Oggi, come ieri, con somma delicatezza sa ascoltare un giovane e, anche se ha lasciato alle sue spalle la montagna, le crode sa ancora dare un significato alla sua presenza in questa terra.
Il "Re del Brenta" Bruno Detassis, ha scalato il Campanil Basso oltre 180 volte: la prima volta a 15 anni, l'ultima a 79, per festeggiare il 90° anniversario della prima salita.

"..... Nei riguardi di ciascuno, la natura opera una sua selezione: chi arriva ai rifugi, chi sale per i sentieri più impervi, chi raggiunge le cime lungo le difficili vie d'arrampicata. Esiste però una cosa che ci accomuna tutti e che ci spinge in questo ambiente unico: la passione per la montagna" (Bruno Detassis)








DAL LIBRO: “TRA IL SILENZIO DELLE PARETI” L'incontro con Cesare Maestri



... Rifugio Brentei. La giornata è bella, mi sento in forma. Decido di fare una arrampicata tranquilla, dove conosco bene la salita e discesa. L'idea è di salire il Basso per la normale. Bellissima ascensione, con difficoltà al massimo di IV°+, di soddisfazione. Arrivo all'attacco; metto l'imbrago, allaccio bene gli scarponi, a mo di zaino metto la corda sulle spalle e parto. Superata la stupenda e aerea parete Pooli, mi porto in breve sul terrazzo "Re Sole", per salire il tratto finale. Purtropppo, dopo circa 15 m', sono ancora sul terrazzo, fermo. In attesa con me, ci sono 3 cordate che stanno aspettando via libera, in quanto altre due cordate, stanno occupando e superando la famosa parete "Ampferer". Alle mie spalle, sento una voce che mi dice. " Ti ho visto arrampicare, lasciamo questa bolgia e tiriamo diritti!". Sono ammutolito, l'uomo che si rivolge a me e Cesare Maestri. Perplesso e con l'incertezza stupita di un bambino gli rispondo. "Maaaa.... heeeeee un tiro di V°". Non finisco la frase che Cesare ha già salito di un metro la variante. Non penso, lo seguo, mi diverto e incredulo ancora per chi, ora ho davanti, arriviamo in breve , in cima al Campanile. Un sorriso, una stretta di mano e quattro parole: "Sei forte, Bepi, torniamo".
Rientriamo, velocemente al rif. Brentei. Bruno e Catullo Detassis si siedono al nostro tavolo.
Con un bicchiere di birra iniziamo a parlare, ma ben presto me ne sto zitto e ascolto i loro discorsi, le loro montagne, le vie salite. Sono affascinato da questi tre grandi maestri della montagna. Qui, nel gruppo di Brenta sono tracciato molti itinerari alpinistici che poratno il loro nome e ora sono divenute delle superbe vie classiche. Cesare, da una tasca della giacca a vento, estrae una cartolina, la firma con una dedica e me la consegna. Porta la sua ascensione alla parete Nord della Cima Grande di lavaredo per la via Comici. Sul retro scritto:"A Giuseppe con i più cari auguri, Cesare Maestri"...

Giuseppe Frison.





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